Sabato 20 maggio saremo a Lallio con “Un Altro Lunedì”, il nostro spettacolo di narrazione sull’imprenditoria femminile. Tra le sostenitrici della prima ora di questo progetto c’è Sara Peruzzini, sindaco di Lallio, alla quale abbiamo chiesto un commento approfondito sul tema della condizione della donna nel mondo del lavoro dirigenziale, a partire dalla sua esperienza diretta.
Una “tredicesima testimonianza” che idealmente si aggiunge alle dodici raccolte da Tartaruga APS attraverso le interviste alle donne imprenditrici coinvolte nella realizzazione dello spettacolo.
Sara, come inizia la tua esperienza nell’amministrazione comunale?
Mi sono trasferita a Lallio dalla provincia di Salerno circa 18 anni fa. Prima di raccontare come sono diventata sindaco di Lallio vorrei fare qualche passo indietro, agli anni degli studi universitari. Sono rimasta incinta del mio primo bambino quando ero molto giovane. Ho continuato a studiare, anche grazie al supporto di mio marito, e mi sono poi laureata quando ero incinta del secondo.
Avevo voglia di dedicare il mio tempo alla cura dei bambini ma volevo anche vivere il territorio e dare il mio contributo a una terra che ci aveva accolto con generosità. Così, insieme ad altre persone con cui condividevo alcuni obiettivi, ho co-fondato l’associazione genitori A.Ge, di cui sono diventata presidente. Siamo stati molto attivi sul territorio, mettendo in campo la nostra capacità di coinvolgere le famiglie e organizzare eventi interessanti per il pubblico di riferimento.
L’opportunità di collaborare con l’amministrazione comunale è nata così, in modo naturale. Il mio gruppo (è una lista civica) mi ha conosciuto attraverso le attività sociali e ha scelto di coinvolgermi. Sono stata dapprima assessore all’istruzione e alla cultura; poi, quando il sindaco aveva terminato il mandato e non poteva più candidarsi, mi è stato chiesto di propormi per la prima carica cittadina e ho dato la mia disponibilità.
Incontri delle difficoltà nello svolgimento quotidiano del tuo lavoro?
Ci sono difficoltà che tutti incontrerebbero facendo il sindaco, uomini o donne che siano, e ci sono difficoltà legate al mio essere donna. Talvolta c’è un muro di pregiudizi da superare per essere presa sul serio in quanto donna e sindaco: devo portare dei risultati, solo a quel punto vengo apprezzata. Di primo acchito c’è chi pensa che il mio modo di fare, il mio carattere, la mia propensione alla mediazione non siano adatte a una carica dirigenziale.
Un uomo non viene ‘osservato al microscopio’ tanto quanto una donna nel momento in cui diventa sindaco.
In parte questo è dovuto anche al fatto che, mentre le donne che ottengono ruoli importanti in azienda possono oggettivamente raccontare qualcosa di se stesse grazie ai titoli ottenuti, non esiste una strada tracciata per chi fa politica.
Non c’è una laurea o una specializzazione che permetta di dire: ho fatto questo percorso di studi quindi sono adatta. Tutto si basa su quello che si fa e che si è. Io penso di amministrare il Comune come faccio con la mia famiglia: con passione, coinvolgimento e lungimiranza. Ovviamente i numeri sono molto diversi.
Cosa possiamo fare secondo te per superare le barriere di genere nel mondo del lavoro?
Vorrei esprimermi innanzitutto su quello che, secondo me, non è di aiuto. Credo, ad esempio, che le desinenze non servano a molto. Ci tengo a essere chiamata sindaco e non signora, come invece fanno ancora alcuni quando mi incontrano nelle mie vesti ufficiali, perché la parola identifica il mio ruolo. Non mi interessa invece essere chiamata sindaca. Non penso che la declinazione al femminile del termine possa influenzare quello che sono, il mio lavoro e neppure come mi percepiscono gli altri. Ritengo che il mio essere donna sia parte del mio essere sindaco e desidero che le mie caratteristiche e capacità siano riconosciute giorno dopo giorno, indipendentemente dal mio genere.
Allo stesso modo non credo sia utile promuovere le quote rosa. Nella mia quotidianità incontro raramente donne nei posti dirigenziali. Partecipo a riunioni dove sono l’unica donna in un mondo di giacche e cravatte. Ma forzare aziende e amministrazioni a scegliere una donna al posto di un uomo, per una determinata posizione, solo per raggiungere una quota prestabilita non risolve nulla. Non sono diventata assessore prima e sindaco poi per il mio genere, ma per le mie capacità e qualità.
Cosa potrebbe invece promuovere un mondo del lavoro più inclusivo per le donne?
Parlare: raccontare cosa significa per una donna ancora oggi, nel 2023, lavorare in determinati ambiti e settori o ricoprire posizioni di comando e responsabilità. Sottolineare che ci sono ancora tanti pregiudizi e condizionamenti. Parlare è indispensabile, perché spesso sono proprio le donne a dimenticare di rivendicare il proprio diritto alla parità, sul mondo del lavoro e in famiglia. Raccontare la propria storia e quella di altre donne può essere uno sprone importante per le generazioni future.
Questo è uno dei motivi per cui ho voluto sostenere fin da subito “Un Altro Lunedì”, attraverso una lettera di intenti, quando era ancora un progetto sulla carta. Sabato 20 maggio lo spettacolo arriva all’auditorium di Lallio e andrò a vederlo insieme alla mia famiglia. Spero che ci saranno, oltre agli adulti, tanti ragazzi e tante ragazze.
Possiamo approfondire il tema dei pregiudizi e dei condizionamenti?
Non lo nascondo: spesso quando sono in un cantiere o devo discutere del manto stradale durante una riunione c’è ancora qualcuno che cerca di eludere il mio discorso. Accanto a tanti uomini che mi hanno incoraggiato, sostenuto e messo a mio agio (come mio marito e i miei colleghi) ce ne sono altrettanti che prima di conoscermi mi hanno guardato con sospetto.
Una donna che occupa un ruolo dirigenziale deve “sgomitare di più” per dimostrare il suo valore e in alcuni casi fingere di non sentire commenti poco lusinghieri, per aspettare che sia il tempo a raccontare quanto meriti il posto che le è stato assegnato.
C’è poi una voce dentro di noi, noi donne intendo, che è più insidiosa dei commenti malevoli e degli sguardi sospettosi. Questa voce a volte ci mette nella posizione di sentirci subordinate agli uomini, destinate a essere madri e mogli ma non ad essere, per esempio, dirigenti d’azienda o sindaci. Talvolta siamo noi stesse a pensare che non possiamo fare quello che fanno gli uomini. Io penso invece che possiamo fare tutto, semplicemente lo facciamo in modo diverso.
Alla radice dello spettacolo “Un Altro Lunedì” c’è la convinzione che le donne possano portare nei ruoli dirigenziali un punto di vista diverso, sei d’accordo?
Assolutamente sì. Le donne non andrebbero mai selezionate per una certa posizione lavorativa solo per il loro genere. Ma donne e uomini sono diversi e portano sul lavoro energie e attitudini differenti. Credo che, soprattutto, le donne abbiano una spiccata capacità di mediazione e negoziazione e che siano maggiormente capaci di trovare compromessi virtuosi. Siamo empatiche per natura. Forse è scritto nel nostro DNA: siamo biologicamente portate ad accudire e a salvaguardare il benessere del gruppo di cui facciamo parte.
A chi scambia la mia dolcezza per debolezza ricordo che si tratta solo di un modo diverso di raggiungere gli stessi obiettivi. Non ho bisogno di imporre con la forza, anche se so essere perentoria. Tutte le volte che posso uso la diplomazia e le mie capacità di convincimento per portare l’altro a guardare le cose dal mio punto di vista. Quando si ottiene una vittoria senza prevaricare, l’altro diventa un alleato e non un nemico sconfitto.
Nelle storie di donne raccontate da Un Altro Lunedì è presente in modo forte il tema della donna che è madre, moglie o figlia e che allo stesso tempo deve destreggiarsi per essere professionista, imprenditrice, dirigente.
In quale modo il tuo ruolo influenza la sfera familiare?
Sono sindaco ma anche moglie e madre e mi impegno costantemente per mantenere l’equilibrio dinamico tra questi ruoli. Forse un sindaco uomo può permettersi di dedicare temporaneamente tutto se stesso al lavoro. Io non posso e neppure voglio farlo.
Certo c’è anche da fare i conti con il senso di colpa che a volte mi assale, perché non sempre mi è possibile dedicare tutto il tempo che vorrei alla casa o ai miei ragazzi. Avrei bisogno di giornate che durano 28 ore e a volte per tutto quello che faccio mi sembra che siano effettivamente più lunghe di quanto registra l’orologio.
Mi capita di chiedermi quanto il mio impegno nell’amministrazione comunale tolga alla mia famiglia, al mio essere madre e moglie. Mi preoccupo delle cose quotidiane della casa: il pranzo, i vestiti puliti e stirati, essere presente nelle occasioni speciali.
Come superi i sensi di colpa?
Nei momenti di sconforto ricordo a me stessa che, quando ho deciso che mi sarebbe piaciuto diventare sindaco, abbiamo fatto una riunione familiare. Ho messo subito in chiaro che in caso di vittoria saremmo diventati sindaco tutti insieme.
Mi rassereno pensando che sto insegnando ai miei figli che mamma e papà sono intercambiabili e che entrambi possiamo essere genitori e professionisti impegnati. Sono fortunata perché accanto a me ho una persona a cui posso delegare compiti considerati tradizionalmente femminili, senza problemi e senza sentirmi in difetto. In famiglia riusciamo a mettere in pratica un modello di parità che funziona e che spero diventi un’abitudine sempre più diffusa nella nostra società.
È un insegnamento per la vita: i miei figli saranno uomini già formati e sapranno che la donna ha esattamente le stesse possibilità, capacità e opportunità di intraprendere carriere impegnative senza doversi sentire inadeguata.
Non abbiamo molto da aggiungere: venite a vedere Un altro Lunedì per ascoltare storie altrettanto intense e significative di professioniste e donne in posizioni apicali!
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